28^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Antifona
d'Ingresso
Se
consideri le nostre colpe, Signore,
Colletta
O
Dio, fonte della vita temporale ed eterna, fa che nessuno di noi ti cerchi solo
per la salute del corpo: ogni fratello in questo giorno santo torni a renderti
gloria per il dono della fede, e la Chiesa intera sia testimone della salvezza
che tu operi continuamente in Cristo tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con
te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
1^
Lettura
In
quei giorni, Naaman Siro scese e si lavò nel Giordano sette volte, secondo la
parola dell'uomo di Dio, e la sua carne ridivenne come la carne di un
giovinetto; egli era guarito.
Salmo
Cantate
al Signore un canto nuovo,
Gli
ha dato vittoria la sua destra
Il
Signore ha manifestato la sua salvezza,
Egli
si è ricordato del suo amore,
Tutti
i confini della terra hanno veduto
Acclami
al Signore tutta la terra,
2^
Lettura
Carissimo,
ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti,
secondo il mio vangelo, a causa del quale io soffro fino a portare le catene
come un malfattore; ma la parola di Dio non è incatenata! Perciò sopporto ogni
cosa per gli eletti, perché anch'essi raggiungano la salvezza che è in Cristo
Gesù, insieme alla gloria eterna.
Canto
al Vangelo
Alleluia,
alleluia.
Voi
siete stirpe eletta,
proclamate
le grandezze di lui,
Alleluia.
Vangelo Lc 17, 11-19
Durante
il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi
a distanza, alzarono la voce, dicendo: “Gesù maestro, abbi pietà di noi!”.
RIFLESSIONE
Se abbiamo un minimo di autocoscienza, molte volte nella vita ci saremo chiesti: "Dove sto andando? Che senso ha il tempo della mia vita? Chi ho incontrato, chi spero di incontrare?", Perché davvero la nostra vita è un cammino e se non ha una meta è un cammino a vuoto, e se sbagliamo la meta rischiamo di non trovarci più. Il Vangelo che abbiamo appena letto ci fa vedere il cammino di Gesù che ci viene incontro sulle vie della nostra vita e il cammino di dieci lebbrosi che nel loro doloroso cammino incontrano Gesù. Vorrei anch’io, con voi, oggi mettermi in cammino e ripercorrere la strada di quei dieci lebbrosi per scoprire insieme se anche noi non siamo malati, se abbiamo intenzione di incontrare Gesù che ci viene incontro, se sappiamo davvero pregare, se abbiamo un briciolo di fede che permetta a Gesù di operare in noi e se questa nostra fede porta davvero alla gioia, alla lode, alla riconoscenza. Quei dieci lebbrosi erano più che consapevoli della loro malattia: quando la lebbra li aveva colpiti non solo avevano visto crescere croste sui loro corpi, avevano visto la loro pelle e la loro carne cadere a brandelli, ma avevano provato ciò che la società manifestava nei confronti del lebbroso: una paura viscerale che allontanava, emarginava e che al massimo relegava alla carità fatta da distante da parte di qualcuno. Avevano provato che cosa volesse dire perdere ogni diritto civile e religioso, perdere famiglia e affetti, non essere più considerati uomini, ma "lebbrosi". Da lebbrosi non conta neppure più essere Giudei o Samaritani, si può vivere tranquillamente insieme, si è tutti emarginati allo stesso modo da quella malattia. Questi dieci però hanno sentito parlare di Gesù, quel maestro che parla ai poveri, che dà da mangiare a chi ha fame, che guarisce sordi e muti e paralitici, quel Gesù che molti dicono essere addirittura il Messia. "Non potrà anche guarire noi?" E si sono messi in cammino per cercarlo. Mi chiedo: io sono sano o malato? Se mi ritengo sano, se credo di essere a posto perché battezzato, se penso di poter accampare crediti davanti a Dio per le mie opere buone, se nascondo la mia lebbra, il mio egoismo dietro vesti di perbenismo e di religiosità, non partirò mai alla ricerca di Gesù che mi guarisca. Se invece mi accorgo che nonostante i miei sforzi, la mia fede è piccola, se mi accorgo che a Gesù voglio bene, ma spesso non mi comporto come Lui mi ha indicato, se mi accorgo che da solo certi difetti, certi peccati, certi egoismi non sono capace a vincerli, forse allora posso rendermi conto che Lui è già in cammino verso di me, proprio per aiutarmi, per liberarmi: "Io da solo non ce la faccio, il peccato mi ha segregato, mi ha consumato e mi consuma… ma Lui può tutto, Lui desidera salvarmi, Lui ha già versato il suo sangue per me!"Ed ecco che i dieci lebbrosi, rispettando la legge che li fa tenere a distanza, gridano a Gesù: "Gesù Maestro, abbi pietà di noi" E scopro ancora una volta che la preghiera non è biascicare formule, dire lodi che non rendono Dio più grande di quanto Egli già sia, non è neppure ricordargli cose che Egli già sa o imporgli la nostra volontà, è vedere la sua realtà e la nostra realtà, è sapere che Lui è tutto e può tutto, è capire che senza di Lui noi siamo soli, emarginati, incapaci, è fidarsi che Lui possa guarirci non solo dalle malattie, ma soprattutto dentro. E’ gridare questo nostro desiderio e questa speranza, è fare un atto profondo di fede. Ed infatti è proprio questo che Gesù chiede ai dieci lebbrosi: un grande atto di fede. Non li guarisce subito, e chiede loro che, mentre sono ancora lebbrosi, facciano un altro po’ di cammino per andare dai sacerdoti incaricati di garantire la loro guarigione e la riammissione ai diritti civili e religiosi. Ce l’ho io questa fede? Sono disposto a giocarmi tutto, reputazione, amicizie, su una parola di Gesù? Continuo a credere anche quando si tratta di camminare al buio, anche quando apparentemente non è cambiato nulla della mia situazione? Eppure il miracolo, la grazia può avvenire solo se io mi rendo disponibile a riceverla. Quante volte se dopo aver chiesto nella preghiera un dono importante per me o per i miei fratelli, mi domandassero: "Ma credi davvero che questo dono ti possa essere dato?", che cosa risponderei? E per quei dieci la guarigione arriva: pensate che momento gioioso dovrà essere stato veder la carne ricresce "come quella di un giovinetto", come già era successo a Naaman il Siro di cui abbiamo sentito nella prima lettura. Ciascuno avrà pensato subito a che cosa significasse questa guarigione: smetterla con l’emarginazione, ritrovare la propria famiglia, riavere la possibilità di riprendere i propri affari, potersi "vendicare" di tutti i soprusi subiti a causa della mentalità della gente, essere riammessi alla religione ufficiale, anzi sentirsi ancor più importanti perché beneficati da Dio…E Gesù? Uno solo, uno straniero, uno "scomunicato" che, mentre era malato era come gli altri e che ora guarito ritorna ad essere "samaritano", si rende conto che tutto quello che essi hanno ottenuto o otterranno è dovuto a Gesù e allora torna gioioso per dire il suo grazie, per esprimere a Colui che glielo ha permesso, tutta la sua gioia di vivere. Questo Samaritano si è ricordato che il dono ricevuto non era "dovuto", ma gratuito, non era "meritato" ma regalato e allora se tutto è grazia, tutto deve diventare rendimento di grazie. Gesù non si aspetta da noi i ringraziamenti della buona educazione, i ringraziamenti come succede con i benefattori che si gloriano del grazie di coloro a cui con superiorità hanno lasciato scorrere qualche dono. La gioia stessa per ciò che abbiamo ricevuto è il nostro grazie. E’ grazie lo stupore, l’ammirazione, il celebrare la vita, il far funzionare il dono ricevuto. E’ non perdere la memoria dell’incontro che ci ha salvato. E anche qui mi chiedo: "Sono capace di gioire per tutto quello che ho ricevuto? Sono consapevole che nulla mi è dovuto ma che tutto mi è regalato? Mi accontento di dire "Gloria al Padre…" o sono talmente gioioso da voler subito mettere in atto i doni ricevuti perché anche altri ne possano gioire? Vado all’Eucaristia perché essa è un rito o davvero per me è "memoria" e "rendimento di grazie"? Ci si può alzare al mattino dicendo: "Uffa, un altro giorno!"? Si può solo e sempre vedere tutto quello che ci manca, le negatività del tempo, degli uomini, della società? Può il cristiano essere pessimista? Posso dire : "sono sfortunato" solo perché le cose non sono andate alla perfezione come progettavo, mentre magari sono "fortunato" perché ho la vita, la salute, gli affetti e magari anche un po’ di sofferenza che mi aiuta a ricordare che non tutto mi è dovuto, che non tutto dipende da me? Per essere persone come quel samaritano che torna a dir grazie bisogna essere prima di tutto capaci a superare la distrazione che non ci permette più di stupirci quotidianamente davanti al miracolo della vita, bisogna essere capaci di cercare le tracce del passaggio di Dio nei fatti del quotidiano, bisogna non dare mai per scontato quello che ci viene offerto, e allora la nostra vita stessa con tutto quello che comporta sarà davvero la gioiosa gratitudine a Colui che ogni momento continua a donarcela.
Sulle
Offerte
Accogli,
Signore, le nostre offerte e preghiere, e fa che questo santo sacrificio,
espressione perfetta della nostra fede, ci apra il passaggio alla gloria del
cielo. Per Cristo nostro Signore.
Dopo
la Comunione
Padre santo e misericordioso, che ci hai nutriti con il corpo e sangue del tuo Figlio, per questa
partecipazione
al suo sacrificio donaci di comunicare alla sua stessa vita. Egli vive e regna
nei secoli dei secoli.